LA GESTIONE DELL’ORARIO DI LAVORO – Poteri del datore e tutele dei lavoratori

Il datore di lavoro può programmare l’orario di lavoro sulla base delle esigenze aziendali e del lavoratore, sempre nel rispetto delle disposizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva di riferimento e per ragioni tecniche, organizzative e produttive, può modificare unilateralmente l’orario di lavoro. Questi sono i principi di partenza del ragionamento. L’orario di lavoro viene disciplinato da un insieme omogeneo di prescrizioni minime di tutela, che intervengono in materia di durata massima della prestazione, riposi, lavoro notturno, ferie e pause. Viene definito l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. ➡️ La facoltà del datore di lavoro di cambiare l’orario dei dipendenti La misurazione del tempo di lavoro è rilevante ai fini della remunerazione di questo tempo, ma sotto un altro aspetto l’orario di lavoro deve essere rilevato ai fini di una prestazione lavorativa minima e massima da valutare sotto questi profili: quando è il datore di lavoro a richiederla e di contro quando è il lavoratore a farlo. L’organizzazione dell’orario di lavoro attiene al datore di lavoro, il quale però deve tenere conto di tanti fattori: le disposizioni normative, la tutela della salute e dell’integrità psicofisica dei lavoratori, la normativa adottata per regolare alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ed infine il Contratto Collettivo applicato. Sotto il profilo quantitativo, l’orario di lavoro viene definito nel contratto individuale, che conseguentemente non può essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro, al quale tuttavia rimane il potere distributivo, salvo i limiti legali e contrattuali. Inoltre, e soprattutto nei contratti part time, la programmabilità del tempo libero assume carattere essenziale che giustifica la immodificabilità dell’orario da parte datoriale al fine di garantire la esplicazione di ulteriore attività lavorativa o un diverso impiego del tempo; la limitazione del potere datoriale risulta, dunque, essere determinante per l’equilibrio contrattuale. Il cambio di turno o l’articolazione diversa nella settimana dell’orario di lavoro del part time può intercorrere solo in presenza di accordi e/o con il rispetto di eventuali procedure concordate, ma anche con una comunicazione unilaterale del datore di lavoro nel rispetto, comunque di quanto concordato con il lavoratore. Tuttavia, i contratti collettivi prevedono quasi tutti delle regole che definiscono questo potere datoriale, imponendo al datore un obbligo di informazione preventiva, nonché la concessione di un congruo periodo di preavviso. Si tratta delle clausole elastiche e flessibili che possono essere previste nella contrattazione individuale. Inoltre, se l’intesa non viene raggiunta, al datore di lavoro è concesso di procedere in modo unilaterale alle modifiche necessarie per l’organizzazione produttiva. Sussistono, infatti, dei limiti che il datore di lavoro deve rispettare; in particolare, le eventuali modifiche dell’orario di lavoro devono trovare giustificazione in precise e ben individuate esigenze di organizzazione dell’attività lavorativa e non possono essere arbitrarie. Conseguentemente, se la variazione oraria risulta essere slegata da reali esigenze produttive e disposta per motivi pretestuosi, ritorsivi o discriminatori, tale modifica sarà definita illegittima e il lavoratore potrà ricorrere giudizialmente al fine di ottenere il ripristino del precedente orario di lavoro. Infatti, anche la giurisprudenza afferma che “il potere auto-organizzativo del datore di lavoro non è sindacabile in mancanza di specifici elementi che evidenzino una discriminazione o una mera vessazione del dipendente”. Ne discende comunque che il Giudice non può entrare nel merito delle scelte compiute dal datore di lavoro, limitandosi a controllare che sussistono ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento della decisione presa dal datore di lavoro. Nel caso della riduzione dell’orario di lavoro del part time e nella modificazione del numero di ore inizialmente concordate nel contratto individuale di lavoro per il part time, subentrano anche altre valutazioni. Infatti, sono moltissimi i contratti collettivi che introducono un numero minimo di ore nella disciplina dei contratti a part time. I Contratti Collettivi stabiliscono:
  • condizioni e modalità con cui il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa e la variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa;
  • condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche.
Per l’attivazione delle clausole elastiche e flessibili, salvo diversa previsione contrattuale, il potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa, necessita di rispettare un preavviso di due giorni lavorativi. Ma in assenza di una disciplina del contratto collettivo è possibile concordare, anche in sede protetta, le condizioni e le modalità con cui il datore di lavoro, sempre con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare, la collocazione temporale della prestazione e variare in aumento la durata della stessa, la misura massima dell’aumento, che non può eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale. ➡️ L’orario minimo del part time nei CCNL Ci sono diversi contratti collettivi che inseriscono un numero minimo di ore settimanali per la stipula del contratto part time, e talvolta anche per il contratto di apprendistato part time. In questo caso, comunque, avendo il contratto contenuto formativo è necessario un numero di ore minimo da consentire lo svolgimento delle ore di formazione previste dal piano formativo. Ma che succede se tale limite non viene rispettato per volontà delle parti? Ai fini dell’apprendistato? Per quanto riguarda il rispetto del CCNL? Per quanto riguarda il versamento contributivo? Può la volontà delle parti derogare a quanto previsto dal CCNL? Sono domande a cui cercheremo di dare risposta precisando il caso in cui la richiesta di riduzione di orario inferiore ai limiti venga richiesta dal datore di lavoro oppure sia di iniziativa del lavoratore. L’espressione di una libera volontà delle parti e soprattutto del lavoratore è fondamentale e necessariamente da rispettare. Quando è il lavoratore a chiedere la riduzione di orario ci sono maggiori possibilità che possa realizzarsi l’accordo, ma occorre valutare se ai fini delle domande che ci siamo posti, se sia sufficiente l’accordo fra le parti. In ogni caso un contratto collettivo aziendale i sensi dell’art. 51 del D. Lgs .81/2015 è la via più sicura. Ci si domanda inoltre se l’INPS possa pretendere i contributi, sulla parte di orario inferiore a quello previsto dal CCNL rispetto a quello che le parti hanno stabilito. Secondo il messaggio INPS 5143 del 14 febbraio 2005: «… per tempo parziale si intende l’orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello indicato nella lettera a) dello stesso comma. In base a tali disposizioni non sussiste alcun limite minimo o massimo di orario da pattuirsi tra le parti perché si possa parlare di rapporto di lavoro a tempo parziale …». Inoltre, il messaggio INPS conclude stabilendo che «In base ai predetti riferimenti normativi, pertanto, i contributi previdenziali ed assistenziali devono essere calcolati, con riferimento alla fattispecie in oggetto, tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro a tempo parziale, anche se inferiore a quello minimo definito dal CCNL di riferimento». Per l’apprendistato, l’orientamento prevalente è quello che il numero di ore previsto dal CCNL sia rispettato soprattutto perché all’apprendista deve essere garantita la formazione; infatti, lo stesso piano formativo deve essere predisposto ed avere un numero di ore di lavoro tali da assicurare formazione. Rimane chiaramente una valutazione rimessa all’Azienda con il proprio Consulente, ma occorre comunque prestare attenzione alle eventuali conseguenze a seguito di un’ispezione. Soprattutto perché nel caso dell’apprendistato vi è il rischio di una possibile conversione del rapporto di lavoro qualora dovessero essere riscontrate delle violazioni.
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